IL TEMPIO DI DIANA NEL SACRO BOSCO DI ARICIA

 

Tra i Santuari dedicati nell'antichità alle divinità protettrici delle popolazioni Italiche, quello consacrato alla dea Diana nel bosco Aricino più di tutti affascina ed incuriosisce. Diana, dea protettrice delle partorienti, della caccia e della luna aveva un tempio consacrato a lei anche sull'Aventino, fatto edificare dal re Servio Tullio. A lei erano dedicati solenni festeggiamenti il 13 agosto, festa dei servi " dies servorum", poiché era anche la dea protettrice degli schiavi. Questo particolare patrocinio caratterizzava il culto di Diana Aricina che si svolgeva nel suo bosco sacro situato ai piedi del più importante tempio dedicato a Giove Laziale sul monte Albano. Il culto di Giove Laziale e quello di Diana Aricina erano in stretta relazione tra di loro e rappresentavano per il popolo latino un riferimento cosmico in cui l'alto era rappresentato dal tempio di Giove Laziale sulla vetta del monte Albano ed il basso dal santuario di Diana nel bosco Aricino. Il sommo sacerdote di questo culto, che ricopriva contemporaneamente la carica di sacerdote e re, era il famoso Rex Nemorensis fatto conoscere a tutto il mondo da James D. Frazer nella sua nota opera "Il ramo d'oro". Il Re sacerdote doveva essere uno schiavo fuggitivo che, una volta entrato nel bosco sacro alla dea, tentava di spezzare un ramo di un albero sacro che solo lì cresceva. Questo ramo era il vischio, pianta che non cresce sul terreno ma su rami spogli di alberi. Disseminata da uccelli che sono ghiotti delle sue bacche ancora oggi è considerata di buon augurio, infatti per le festività Natalizie se ne regalano dei rametti che una volta essiccati assumono la colorazione caratteristica dell'oro. Riuscito a trovare e a strappare questo ramo, il nuovo pretendente alla carica di Rex poteva sfidare il vecchio re in un duello all'ultimo sangue dal quale chi riusciva vincitore aveva il diritto al titolo di Rex Nemorensis fintanto che non fosse stato ucciso, sempre in duello, da un altro schiavo fuggitivo. Certo è che per il vincitore iniziava un duro periodo dedicato al continuo controllo del territorio sia di giorno che di notte, d'estate e d'inverno. Il suo regno e quindi la sua vita dipendevano dalla costanza con la quale espletava la sua funzione e dalla vigoria del suo corpo che con il passare degli anni diminuiva. Questo sanguinoso rito sarebbe stato importato in Italia da Oreste figlio di Agamennone il quale, dopo aver ucciso Toante re della Tauride, riuscì a portare con sé ad Ariccia un simulacro di Diana Taurica alla quale era attribuito il sanguinoso e crudele rituale. In seguito i Latini trovarono il culto troppo sanguinario e decisero di trasferire il simulacro a Sparta.. Il santuario di Diana Nemorense presso Aricia era anche centro federale della lega latina. La fondazione o meglio lo spostamento del culto dal monte Artemisio ( Diana-Artemide) da parte del dittatore Egerio Bebio di Tuscolo ci è tramandato da Catone in Origines insieme all'elenco dei popoli che partecipavano alle celebrazioni dove non è riportata la presenza di Roma. Lo spostamento del santuario e la rifondazione della lega attorno al culto di Diana conferma il periodo di ostilità tra Romani e la Lega dopo la cacciata dei re quando, proprio ad Ariccia, si scontrarono gli eserciti dei Latini e Cumani da una parte e Romani ed Etruschi dall'altra cui seguì la sconfitta di questi ultimi e la morte del loro comandante Arrunte, figlio di Porsenna. Quindi la rifondazione del santuario di Diana Nemorense nel bosco Aricino va chiaramente interpretata come una risposta al santuario federale realizzato a Roma da Servio Tullio sull' Aventino nell’intento di trasferire a Roma uno dei culti più antichi del popolo Latino. E' evidente a questo punto la diversità culturale politica e conseguentemente religiosa delle due federazioni una Etrusco-Romana e l'altra Greco-Latina. Diana non è una divinità di origine romana, infatti non viene menzionata tra gli Indigetes, i capostipiti cioè della sacralità romana, ma sicuramente Latina come testimoniato dal nome Diana formato sul termine dius facente parte di numerosi nomi di divinità e che in forma neutra significa "spazio celeste". L'origine indoeuropea è suggerita dal legame che la Dea ha con la luna che determina i ritmi biologici e le forze notturne quindi con l’universo sessuale riproduttivo, per questo era particolarmente venerata dalle partorienti come testimoniato da numerosi reperti anatomici ritrovati nei suoi santuari. Una delle prime raffigurazioni del culto era la Diana-Triformis che consisteva in un'unica figura che rappresentava Artemide-Diana-Selene. Scavi nell'area del lago di Nemi sono stati effettuati nel 1637 da G. Argolo, incaricato dalla Nobile famiglia Frangipane allora proprietaria del territorio. Altri scavi furono intrapresi dal Cardinale Antonio Despuing dal 1791 al 1798: nel territorio di Vallericcia, tra i materiali recuperati, un bassorilievo arcaico rappresentante secondo una prima interpretazione il duello per la successione del Rex Nemorensis. I reperti recuperati finirono in parte al museo personale dell' Eminentissimo Cardinale a Palma di Maiorca, e una parte venne venduta alla glittoteca Ny Carlsberg di Copenaghen. Nel 1885 Lord Savile Lumley condusse una proficua campagna di ricerche che si concluse quasi subito per sopravvenuti disaccordi con il Principe Orsini, nuovo proprietario del terreno. Un'altra parte del materiale rinvenuto durante gli scavi dell'estate del 1887 da L. Boccanera fu venduto al Museum of Fine Arts di Boston. E. Borghi ebbe nel 1895 l'incarico di continuare le indagini non solo sulla terraferma ma anche nel lago sulle famose navi dell'Imperatore Caligola. Le ultime indagini risalgono agli inizi del secolo condotte da E. Gatti dal 1924 al 1927, e dal 1993 a tutt'oggi sulle rive del lago di Nemi nella località chiamata il Giardino sono riprese le ricerche da parte della Dott.ssa G. Ghini della Soprintendenza Archeologica per il Lazio. Un attento esame della struttura e delle importanti testimonianze rappresentate dai più svariati oggetti, molti dei quali di chiara memoria egizia, riportati alla luce nei vari scavi succedutisi fino ai nostri giorni, rivelano ben poco della sacralità che un luogo di culto così importante avrebbe dovuto avere. Sicuramente era un tempio dove si svolgevano cerimonie in onore della Dea, ma in modo più teatrale che religioso come testimoniato dalla presenza di una scuola di attori nel suo interno. Durante la campagna di scavi del 1885 vennero rinvenute diverse sculture che poi finirono, come tante altre importanti testimonianze del nostro passato, ad arricchire le collezioni di Musei di tutto il Mondo. Una parte di queste sculture fu donata proprio da Lord Savile Lumley, che eseguì gli scavi, al Museo di Nottingham Castle. Un altro gruppo di sculture, tra le quali una testa di bronzo, furono direttamente acquistate da Carl Jacobsen dall'allora proprietario del terreno il Principe Orsini ed ora si trovano custodite nella Glittoteca Ny Carlsberg di Copenaghen. Queste sculture rappresentavano dei personaggi più vicini al mondo dello spettacolo che a quello divino, infatti gli studiosi che le hanno esaminate hanno potuto riconoscere anche da testimonianze scritte che esse appartenevano a una associazione di attori mimi e pantomimi. Alcune iscrizioni testimoniano anche la presenza di un attore di Pompei un certo C. Norbanus Sorex il quale sembra che avesse nel santuario addirittura una scuola per mimi. Probabilmente quello che si celebrava sulle rive e sulle acque del lago di Nemi con le famose Navi, recuperate negli anni 20 grazie ad un imponente opera di parziale prosciugamento del lago medesimo e poi andate perse in un incendio durante l'ultimo conflitto mondiale, era una rappresentazione-spettacolo del culto a carattere, possiamo dire, privato fatto apposta per l'imperatore e le persone a lui vicine. L'Imperatore Caio Cesare Germanico, meglio conosciuto con il nome di Caligola, ebbe un ruolo determinante nello stravolgere il culto di Diana-Aricina. Prima di tutto mandò nel Nemus Aricino un forte e robusto sicario per uccidere il vecchio re-sacerdote e troncare così l'antica tradizione. Poi trasformò, sotto la sua regia, i sacri riti in una sorta di religione privata ricca di elaborate e sofisticate scenografie. Come è noto Caligola era un fanatico seguace dei culti Egizi e anche appassionato promotore di rappresentazioni teatrali alle quali amava partecipare impersonando persino divinità tra le quali la stessa Diana. Proprio durante una di queste rappresentazioni fatte a Roma in occasione dei Ludi Palatini Caligola venne ucciso. Teniamo ben presente che l'attuale paese di Nemi all'epoca non esisteva e che "Nemorense" era chiamato il bosco sacro nel territorio di Ariccia e che quindi il santuario con annesso bosco sacro si trovava nel territorio di quest'ultima. Ora, se apriamo una cartina geografica che rappresenta questo territorio e cancelliamo i paesi moderni, tutti quelli cioè che sono sorti dopo Roma per intenderci, e tenendo presente che l'attuale paese di Ariccia mantiene più o meno lo stesso nucleo abitativo che aveva nell'antichità, possiamo vedere che essa era al centro di tre bei laghi. Di questi laghi ne rimangono purtroppo soltanto due, quello Albano e quello di Nemi. Quello di Vallericcia purtroppo prosciugato ha dovuto lasciare il posto a terreni agricoli, fabbriche ed abitazioni. Da questa invidiabile posizione quindi la popolazione Aricina controllava tutti e tre questi bacini ed era quella che, oltre ad ospitare nel suo territorio il santuario con il Bosco Sacro, aveva il compito di proteggerlo e garantirne il buon esercizio quando per le cerimonie convenivano tutti i popoli confederati. Se torniamo di nuovo alla cartina geografica possiamo vedere che il Santuario del lago di Nemi è ben distante dall'oppidum Aricino, è anzi situato sulla sponda opposta del lago e, se consideriamo che nel bosco sacro a Diana era rigorosamente proibito introdurre cavalli rei di aver ucciso Ippolito protetto dalla Dea, possiamo constatare che l'accesso al santuario non era certamente agevole. La frequentazione sin da epoca protostorica del Nemus Aricino e la sua importanza come centro federale della Lega Latina è stata dimostrata da tempo. Quello che ancora lascia parecchi dubbi è la sua struttura e la sua ubicazione. Vitruvio, il grande architetto della Roma antica, nel suo trattato di architettura ci dà una accurata descrizione del Tempio secondo cui, oltre alle colonne frontali, erano presenti anche colonne sui lati del pronao. Le celle hanno una lunghezza doppia della larghezza e le parti che di solito stanno sulla fronte sono spostate sui lati. Quindi si tratta di una struttura disposta con la fronte sul lato lungo anziché quello corto, come di consueto. Quanto detto non trova riscontro con le strutture venute alla luce dagli scavi effettuati fino ad oggi nella zona del lago di Nemi. Strabone nella Geografia, bellissima e preziosissima opera che ci ha lasciato, ci fa sapere che "Il tempio è situato in un bosco sacro, davanti al quale c'è un lago profondo quanto il mare. Tutt'intorno le montagne formano un cerchio ininterrotto ed assai elevato che abbraccia anche il tempio e l'acqua in un luogo incavato e profondo. Si possono vedere le fonti da cui è alimentato il lago, fra le quali ce n'è una chiamata Egeria eponimo di una qualche divinità." Sulle rive del versante meridionale del lago Albano esiste, inghiottita dalla vegetazione e ancora di più dall'incuria delle Autorità scientifiche e politiche, una struttura denominata dagli studiosi, che se ne sono occupati marginalmente negli anni passati, "Villa Romana sulla sponda meridionale del lago Albano" o più genericamente "Villa Romana" attribuita comunque al patrimonio Imperiale. Qualche anno fa, in occasione di un sopralluogo sul posto, feci notare al Dott. Chiarucci, Direttore del Museo Civico Albano, che data la posizione quella struttura non poteva essere una villa per una serie di motivi; tanto per citarne uno, la costruzione è stata edificata in una zona esposta ai freddi venti di tramontana e a ridosso delle ripide pendici del bacino lacustre per cui beneficia solo poche ore al giorno dei raggi solari, mentre nei periodi invernali questo tempo si riduce notevolmente. Restai così con il pensiero rivolto all’ipotesi che la struttura potesse essere stata, almeno all’inizio, un luogo Sacro cioè un Santuario. Passò altro tempo e un bel giorno durante una ricognizione subacquea nei pressi del Villaggio delle Macine, sommerso nelle acque del lago Albano, assieme ad Dott. Claudio Mocchegiani Carpano del Servizio tecnico per l’Archeologia Subacquea del Ministero dei Beni Culturali ed Ambientali, esaminando una parte della struttura allora sommersa della banchina che cinge le rive del lago notammo con stupore che la linearità dell’opera a un certo punto veniva interrotta da due grossi blocchi squadrati di pietra Albana i quali sottoposti ad un più attento esame rivelarono la presenza di due grossi fori passanti. Subito il Dott. Mocchegiani riconobbe in quella struttura una certa rassomiglianza con quella esistente nel porto fluviale del Tevere nella città di Roma, dove quei grossi blocchi attraversati dai fori servivano per l'ancoraggio delle imbarcazioni che lì sostavano. Ricordo che allora faticammo non poco a liberare dalle alghe e dalle ramificazioni delle radici di canne lacustri parte della struttura per poter distinguere chiaramente che ci trovavamo alla presenza di un piccolo porticciolo. Oggi con l’abbassamento del livello delle acque tutto il porticciolo è completamente all’asciutto e a rischio di atti vandalici. La cosa cominciava ad incuriosirmi molto. Che cosa ci faceva un porto nel lago Albano? A cosa serviva? Iniziai così un paziente studio su libri privati e nelle Biblioteche alla ricerca di dati che potessero dare una risposta soddisfacente. Tutti questi dati raccolti, riportati su di una mappa, davano uno scenario imponente e misterioso del luogo. Di questa ricerca quello che più colpisce è la presenza di una banchina che circonda completamente lo specchio lacustre, la presenza di tre porticcioli per l'attracco di piccole imbarcazioni e la presenza di un faro. E' risaputo che gli antichi Imperatori amavano assistere a rappresentazioni di battaglie navali fatte in bacini e specchi d'acqua di tutti i tipi, che il lago Albano era uno di questi e che specialmente gli Imperatori Tiberio e Domiziano avevano fatto erigere diversi edifici attorno e sopra le sue coste. Si dice che Domiziano amava farsi trainare da un'altra imbarcazione per non sentire il rumore dei remi che muovevano l'acqua. Ma perché fare una banchina che cinge completamente il lago e interrotta soltanto dalla presenza, tra l'altro monumentale, dell'incile dell'emissario? E specialmente quel faro a cosa serviva? Per gli spettacoli di naumachia notturna non credo sia ipotizzabile in quanto sarebbe molto difficoltoso individuare le imbarcazioni nella notte. Da lontano si vedrebbero soltanto le luci prodotte dalle fiaccole e quel poco che queste riuscirebbero ad illuminare verrebbe annullato dalla distanza. Dalla parte nordoccidentale proprio nell'area dove è situato il Villaggio delle Macine, villaggio palafitticolo risalente all'incirca al XVI sec. a.C., l'andamento lineare della banchina subisce una deviazione per contornare una specie di promontorio della lunghezza di un centinaio di metri per poi riprendere la sua linearità. Purtroppo questo non è più visibile perché qualche anno fa, in occasione di opere di pulizia (!) effettuate con le ruspe fin dentro l'acqua, gran parte dei grossi blocchi che formavano la banchina vennero rimossi con il benestare delle Autorità competenti! Voglio ricordare che in occasione di tali lavori anche parte del Villaggio delle Macine subì danni irreparabili e a nulla valsero le mie proteste fatte anche attraverso i quotidiani. All'interno di questo promontorio, è possibile riconoscere due file parallele di fondazione di grosse mura costruite in opera poligonale che, partendo perpendicolarmente dalla banchina, si perdono dove comincia il terrapieno che costeggia la strada circumlacuale. Questo, secondo il mio parere, è uno dei luoghi più belli che il lago può offrire. Da questo punto, proprio di fronte allo specchio d'acqua, si eleva imponente la maestosa figura del Monte di Giove Laziale con i suoi boschi Sacri e proprio alla sua base a confine con il lago si trovano i resti del Santuario. In alto, a mezza costa tra il Santuario ed il bordo del cratere vulcanico, nascosti tra la vegetazione che irrigoglisce le coste del lago si trovano i resti di un piccolo eremo e di una piccola chiesetta dedicata a S.Angelo in Lacu. Questo piccolo angolo di paradiso venne ricavato, attorno al 1200 dai fraticelli che lo abitavano, da una struttura molto più antica quasi completamente scavata nelle dure rocce che si affacciano a picco sul lago. Al centro di questo complesso monastico, sul canalone che conduce al sottostante Santuario, si trova una piccola cella interamente scolpita nella pietra Albana. All’origine doveva formare una specie di uovo gigantesco nel cui interno probabilmente veniva ospitata qualche persona che doveva "Nascere/Rinascere o Risorgere". Questo suggestivo scenario veniva rallegrato dal canto delle acque provenienti dalle numerosissime sorgenti che riunite lì vicino iniziavano con una serie di incantevoli, piccole cascate, il percorso verso il Santuario prima di riversarsi nel lago. Ultimamente un lungo periodo di siccità ha messo a tacere queste melodie silvestri ma il paesaggio per fortuna è rimasto quasi lo stesso. Questa siccità ha anche fatto abbassare notevolmente il livello della acque del lago facendo emergere delle strutture che non erano visibili prima; tra queste alcuni tratti di una banchina più vecchia posta al disotto di quella conosciuta ed alcuni tratti di mura poligonali che come tipologia si avvicinano di molto a quelle appartenenti alla seconda maniera delle tabelle del Giovenale. Tutti questi dati, assieme ad altri piccoli ma importanti particolari, mi fanno vedere questo scenario in una nuova affascinante veste. E se il santuario federale di Diana Aricina avesse avuto un ultima sede sulle rive del lago Albano ? Tutte le strutture che abbiamo visto fino ad ora avrebbero un ruolo più funzionale rispetto a quello che gli è stato fino ad ora attribuito. Cominciando dal Santuario, la sua struttura corrisponde benissimo a quella descritta da Vitruvio nel suo trattato " De Architectura" in particolare "le parti che solitamente stanno sulla fronte sono trasferite lateralmente". E' carezzato da un torrente di acqua sorgiva proveniente dalle fonti che si raccolgono nei pressi della piccola chiesa di S.Angelo in Lacu dove si trova la piccola cella a forma di uovo sul cui ingresso è scolpito un sole nascente e che nei tempi antichi potrebbe essere stata la dimora di una divinità silvana quale la ninfa Egeria (da E-gerere - rinascere) amante e ispiratrice di Numa Pompilio e alla quale si affidavano le partorienti per essere assistite durante il parto. L'Edificio sorge in una zona non adatta come residenza in quanto è esposta ai venti di tramontana, può beneficiare solo in minima parte dei raggi diretti del sole ed è isolata in mezzo al bosco. Con tanti altri stupendi posti lì vicino assolati e panoramici non credo che la scelta di questo sito sia stata una soluzione ideale per chi l'avesse fatta a scopo abitativo. Come Santuario di una divinità delle forze della natura e lunare quale è Diana, questo posto mi sembra invece quanto mai appropriato. In mezzo al bosco, avvolto dal mormorio provocato dalle acque delle sorgenti che si riversano sotto forma di cascatelle nel lago questo Santuario può assistere in modo solenne al tramonto del Sole e al sorgere della Luna. La banchina che contorna il lago è un confine posto a conferma della sacralità del luogo e che poteva essere varcato solo dagli "addetti" ed in particolari occasioni quali processioni notturne che si svolgevano sulle acque con imbarcazioni guidate dalla luce del Faro che in questo caso vede legittimata la sua presenza svolgendo un ruolo indispensabile. Una conferma delle visite al Santuario per mezzo di imbarcazioni ci viene data da una marra di piombo appartenente ad una ancora rinvenuta e recuperata dal sottoscritto nei pressi del Santuario stesso durante una ricognizione subacquea con il Gruppo Latino Ricerca Subacquea. Questa marra è ora esposta nelle sale del Museo Civico Albano vicino ad una simile recuperata anni orsono. Durante queste ricognizioni subacquee davanti al Santuario, che ci hanno portato a segnalare e rilevare la presenza di numerose colonne e capitelli, è stata recuperata una manina di terracotta che impugna una siringa, probabilmente appartenente ad una rappresentazione del dio Pan; anche questa è esposta nei locali del Museo, vicino alle ancore e ad altri preziosi reperti provenienti dal lago Albano. Vorrei qui concludere con una proposta che potrebbe aiutarci a saperne di più sull'argomento. Ad Ariccia, grazie all'impegno di politici, tecnici, studiosi e quanti altri che in vario modo hanno contribuito alla realizzazione, è stata restaurata e resa agibile una delle più belle opere di architettura dei Castelli Romani, Palazzo Chigi. L'antico culto era appunto dedicato a "Diana Aricina" e vorrei che così continuasse ad essere menzionato nonostante i maldestri tentativi di farlo sparire dalla scena tramutandolo (antica strategia adottata dagli antichi romani) in "Diana Nemorense" o peggio ancora in "Diana di Nemi" come purtroppo ogni tanto mi capita di leggere. Perché allora non ospitare all'interno dello storico Palazzo, con il patrocinio del Comune di Ariccia, un Centro Studi e Raccolta Dati che si occupi di studi e ricerche e promuova incontri e conferenze dedicate a questa divinità che ha tenuto e ancora tiene impegnate generazioni di studiosi.